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Quando il Monte Bianco era già diventato una montagna alla moda (fu conquistata nel 1786 da Jacques Balmat e dal Dottor Paccard), il mondo dolomitico era ancora completamente sconosciuto. Il velo d’ignoranza cominciò ad essere eliminato grazie alla guida “Das land Tirol”(1837) di Beda Weber e soprattutto dalla guida edita nello stesso anno a Londra da Murray ed intitolata “A Handbook for Travellers in Southern Germany”. Da un passo di detta guida si capisce perché subito essa destò l’interesse su questa parte di Alpi Orientali: “...Alcune (montagne di dolomite) hanno vette slanciate e cime che s’ergono come pinnacoli ed obelischi arditi; mentre altre si estendono in creste seghettate e dentellate, simili alla mandibola irta di zanne di un alligatore. Pareti alte molte migliaia di piedi incombono verticali sulla valle, squarciate da profondi canaloni; esse sono assolutamente brulle, spoglie da ogni vegetazione e hanno per lo più una colorazione giallastra o biancastra. (...) Talvolta assumono la forma di torrioni; in altri casi le guglie sono così numerose , appuntite, sottili e ravvicinate, da poterle paragonare ad un fascio di baionette o di spade...”

Affascinati e incuriositi da tali descrizioni, Josiah Gilbert e G.C. Churcill (geologi, botanici e alpinisti) partirono alla volta di queste montagne e le descrissero con grande fervore e amore nell’ opera “The Dolomite Mountains: excursions through Tyrol,Carinthia, Carniola and Friuli in 1861,1862 and 1863” da cui si legge: “(Le Dolomiti) sono uniche in Europa tanto per il loro paesaggio caratteristico quanto per i quesiti geologici che ci presentano” ..e più avanti: “Sorpassata Sottoguda, il primo villaggio al di là del passo Fedaia, ci si aprì dinanzi la valle di Agordo, che attraversa buona parte delle Dolomiti. Ci riempì di gioia rivedere a sud, a portata di mano, la grandiosa montagna che avevamo già ammirato a mezzogiorno: la Civetta. La turrita muraglia anteriore, rosseggiante alla luce del tramonto, si elevava di fronte alla valle come un‘immensa cattedrale. Nei nostri ricordi delle Alpi questa visione apparsa tutt‘a un tratto e favorita senza dubbio dalla magica luminosità, è rimasta senza rivali.”

I pochi viaggiatori e turisti che giunsero qui prima del 1860 erano quasi esclusivamente inglesi. Tra loro vi fu il naturalista e alpinista Sir John Ball, il quale, nel 1857, scalò una delle grandi cime dolomitiche, il PELMO , dando il via ad una nuova epoca, quella della conquista delle Dolomiti. Quest’epoca ebbe in Paul Grohmann il suo indiscusso re. Egli giunse nel 1862 e vinse, in sequenza, alcune delle più importanti montagne dei “Monti Pallidi”: TOFANA DI MEZZO, ANTELAO, TOFANA DI ROZES, SORAPISS, MARMOLADA, TOFANA DE INZE, CRISTALLO, PUNTA DEI 3 SCARPERI, SASSOLUNGO e CIMA GRANDE DI LAVAREDO. In queste sue salite, al tempo vere e proprie imprese, fu accompagnato da celebri guide come Francesco Lacedelli detto “Checco”, Santo Siorpaes, Angelo Dimai, F. Innerkofler.

Dopo di lui, altri alpinisti con ardimentose scalate salirono cime fino a quel momento ancora vergini. Tra costoro va ricordato innanzitutto Michel Innerkofler, figura leggendaria di Sesto, che compì imprese sensazionali per quei tempi e vinse in prima assoluta la CRODA DEI TONI, la CIMA 11, la CRODA DA LAGO, la CIMA OVEST e PICCOLA DI LAVAREDO.

Negli anni successivi tutte le cime, le torri ed i campanili furono saliti con vie di sempre maggior difficoltà tecnica. L’epoca del sesto grado fu inaugurata nel 1925 sulla parete nord-ovest della CIVETTA (la così detta "Parete delle Pareti", espugnata per la prima volta dalla cordata inglese Phillimore-Rainor con guide) e vide primeggiare alpinisti come Emil Solleder ed Emilio Comici.

Oggi, grazie ai miglioramenti dell’attrezzatura e delle tecniche d’allenamento, molte vie di difficoltà estrema sono state tracciate sulle più importanti pareti, vie classificate di nono o, addirittura, decimo grado.

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